00 27/01/2006 00:02
LA PADANIA
25 geannaio 2006
POPOLO, POLITICA E MEZZI DI INFORMAZIONE
«Le feste popolari portano voti, le tv no»

SIMONE GIRARDIN
Quando sabato sera l’hanno visto arrivare a Malpensa Fiere, alla festa della Lega Lombarda, qualcuno ha alzato la voce. «Ma cosa ci fa qui uno dei Ds?».
Lui, Pierluigi Bersani, ex ministro dell’Industria e dei Trasporti e “guru” economico dei Ds, non ha fatto una piega. Si è seduto di fianco a Maroni per l’atteso faccia a faccia sul mercato del lavoro. Alla fine nessun fischio. Solo applausi.
Bersani, come è andata l’esperienza alla festa della Lega? Spaventato?
«Personalmente credo sia stata una bella serata. Anche per chi l’ha seguita, nonostante io e Maroni fossimo su posizioni diverse».
Era la prima volta?
«Sì e ci tornerei volentieri. Alla Lega va il merito di saper stare in mezzo alla gente. E io sono uno di quelli che non si tira indietro. Mi piace far tornare il dibattito politico alle radici popolari. Sono sempre stato per un linguaggio semplice, chiaro e diretto».
La Lega ha un rapporto privilegiato con la sua gente. Si dice che lì trovi la propria forza. Nei Ds che tipo di rapporto c’è tra la base e i vertici del partito?
«Guardi, sono un sostenitore di un grande partito popolare della sinistra. E’ l’idea di un movimento che sappia muoversi a suo agio nei linguaggi della gente comune. E allora non è un caso che sia convinto di come la forza del nostro fare politica risieda nelle feste dell’Unità. Da qui, dopo un periodo difficile come partito, è ripartito l’entusiasmo. Il primo segnale di crescita degli iscritti è arrivato insieme all’aumento degli incontri pubblici. E poi anche vero che la sinistra è esposta a posizioni eccessivamente intellettualistiche. Come è vero che siamo vittime e attori di pulsioni mediatiche. Questo è un limite perché non ci fa ricordare che invece tra noi e la gente ci sono molte cose. C’è la vita quotidiana».
L’impressione è che oggi a sinistra l’unica vera piazza sia diventata la tv e più in generale i mezzi di informazione?
«Il rischio esiste. Soprattutto con il berlusconismo che di fatto ha costruito questo terreno mediatico di scontro».
Allora vi state solo adeguando?
«La verità è che non possiamo permetterci di abbandonare quel terreno. Le faccio un esempio. Quando andiamo a Porta a porta qualcuno ci domanda perchè ci siamo presentati. Altri, invece, ci invitano a non lasciare campo aperto al premier e al centrodestra. Allora la soluzione più sensata è di utilizzare anche i mezzi di informazione ma di non farne il nostro punto di forza. Che deve essere invece la gente. Sei vincente solo se si mobilita il popolo. Allora la strada è questa. E a sinistra, rispetto a Berlusconi, siamo più bravi nelle relazioni diffuse, a stare tra i cittadini. Alla fine è qui che si fanno i conti».
Intanto bisogna fare i conti con il caso Unipol. Da allora come sono cambiati i rapporti interni al partito?
«Il dopo Unipol ha certamente avuto un effetto boomerang. Ci è servito per capire gli errori commessi ma nello stesso tempo abbiamo assistito ad una campagna denigratoria sproporzionata. Nel nostro elettorato c’è una percezione chiara di quanto accaduto. E’ come la storiella del cane bastonato. La gente guarda e capisce. Va bene la prima legnata, va bene la seconda ma quando arriva la terza comprende che è eccessiva e ingiusta. Credo che oggi, dopo l’iniziale spaesamento della base, ci sia stato un forte ricompattamento».
Facciamo un passo indietro. Torniamo al faccia a faccia con Roberto Maroni alla festa della Lega. Anche lei è stato ministro. Come giudica il lavoro del numero uno del Welfare e degli altri ministri del Carroccio?
«È indubbio che il settore di competenza di Maroni si sia contraddistinto per la personalità. Ha fatto molto anche se, come ho avuto modo di dire durante il dibattito, c’è anche molto da cambiare. La legge Biagi è da correggere. Così come la riforma pensionistica. E quella sul Tfr non l’avrei rinviata al 2008 ma l’avrei fatta partire subito».
E il lavoro dei leghisti al governo?
«La Lega non ha torto quando dice che “ha portato a casa”. Che la sua politica ha avuto un peso importante nell’Esecutivo. Ma anche Berlusconi ha portato a casa. E molto. Grazie a quel suo particolare conflitto di interessi».
Non le sembra però il solito ritornello? Ma perché quando eravate al governo, non avete pensato a varare una legge ad hoc?
«Le rispondo in modo semplice: pensavamo che non ce ne fosse bisogno. In fondo nemmeno in Inghilterra c’è una legge sul conflitto di interessi. Ma è vero che da quelle parti non c’è Berlusconi».
Dunque?
«Da noi si fanno leggi sul calcio, il Tfr, la pubblicità, la tv dove il presidente del Consiglio ha degli interessi privati. Se avessimo saputo che sarebbe successo tutto questo, stia sicuro che una legge l’avremmo varata».
Tra le prime riforme promosse dal centrodestra, quella sul mercato del lavoro non sembra piacerle. In cambio che cosa proponete agli elettori?
«La cosiddetta Legge Biagi ha frantumato il mercato. Oggi siamo davanti a un’eccessiva precarizzazione del lavoro. Troppi contratti. La prima cosa da fare è ridurne il numero. Poi serve affiancare un nuovo sistema di welfare. Ridurre la contrattualistica e garantire un rafforzamento della contribuzione figurativa alle categorie più esposte, giovani compresi».
Si parla molto del potere di acquisto dei ceti più deboli. In questi anni Maroni ha rilanciato l’esigenza delle gabbie salariali. E’ una strada percorribile?
«Premesso che non sono per indebolire la contrattazione nazionale, non si può certo far finta di nulla. La vita non costa uguale dappertutto. Ma è un tema che spetta alle parti sociali. Il governo può far poco. Devono essere i sindacati a chiederne un’accelerazione».
La soluzione non potrebbe chiamarsi federalismo fiscale?
«Qui bisogna porsi una domanda: quanto è accettabile che ci sia una differenza tra regione e regione? Dico così perché dietro il carro della Devolution viene il federalismo fiscale dove si va a premiare i territori che versano di più. Un esempio: io presidente riesco a dare certe prestazioni. I soldi per farle li ho se me li tengo. E’ normale che la regione più ricca è avvantaggiata rispetto alle altre. Per questo temo che un federalismo che non sia solidale non possa che spaccare il Paese».
Ma la sinistra che Italia ha in mente?
«Dobbiamo puntare sullo sviluppo. Abbiamo molte risorse da sfruttare. E il federalismo può attivarle, purchè sia solidale, perequato».
Adesso siete federalisti anche voi?
«Noi lo siamo sempre stati tanto che la Lega ebbe un seguito all’interno del nostro elettorato, soprattutto quando interpretò una politica anti burocratica e più autonoma. Poi il patto con Berlusconi ha segnato, a mio giudizio, una regressione culturale del movimento di Bossi. Oggi la Lega ha mantenuto in sè una forte connotazione popolare che noi come partito di sinistra dobbiamo essere bravi a guardare in faccia».
Vuole convincere la Lega a “scaricare” Berlusconi e allearsi con i Ds?
«No. Ci sono fratture profonde su certi temi politici come l’immigrazione o la stessa riforma costituzionale. Resta però il fatto che una sconfitta del Cavaliere possa far riprendere alla Lega quell’autonomia politica con cui noi dovremo eventualmente confrontarci in maniera costruttiva».
Ma la Lega è contrarissima al voto agli immigrati?
«Essere immigrato significa essere umano. Allora credo che, all’interno di un percorso da stabilire, una persona straniera la quale vive e lavora regolarmente nel nostro Paese debba avere la possibilità di votare. Il voto diventa così un elemento importante per favorire l’integrazione».
E sui Pacs?
«Siamo per le unioni civili anche per le persone dello stesso sesso. Questo non vuol dire matrimoni. Significa dare una sponda giuridica a quelle coppie che oggi non sono riconosciute».
Sta di fatto che a Malpensa Fiere si è celebrata un’altra unione. E’ vero che un militante, a fine serata, le ha regalato una sciarpa della Lega?
«Una bandiera. E’ stata una scena divertente. Mentre qualcuno mi contestava, altri mi stringevano la mano. A un certo punto un signore mi ha regalato una bandiera della Lega. Questo testimonia la forza del popolo. Di chi sa distinguere, rispettandole, le diverse idee politiche».



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CORRIERE DELLA SERA
26 gennaio 2006
Bersani alla festa lumbard e sulla Padania.
Furio Colombo: «Speriamo in un Carroccio buono»
«Voi tra la gente, come noi». I Ds riscoprono la Lega
di ROBERTO ZUCCOLINI


IL CASO / Il responsabile del programma della Quercia in un’intervista alla Padania : «Coi lumbard dovremo eventualmente confrontarci». Russo Spena (Prc): come ai tempi di D’Alema
Bersani apre alla Lega. E Speroni: è simpatico
Dubbi nell’Unione. Franceschini (Dl) e Minniti (Ds): difficile fare previsioni ma puntiamo al loro elettorato
ROMA - Pierluigi Bersani va alla festa della Lega, a Malpensa Fiere. Non solo: la Padania gli concede un’ampia intervista dal titolo «Le feste popolari portano voti, le tv no», là dove il dirigente diessino, pur ribadendo posizioni ideologiche diverse, fa non pochi complimenti al Carroccio. Si va dalla capacità della Lega di «stare in mezzo alla gente», al pari della Quercia, al fatto che «parla un linguaggio semplice e chiaro», fino a quella che può apparire come un’apertura politica, quasi un ritorno alle avance di dieci anni fa, quando il partito di Umberto Bossi faceva dell’indipendenza la sua bandiera: «Una sconfitta del Cavaliere può far riprendere alla Lega quell’autonomia politica con cui noi dovremo eventualmente confrontarci in maniera costruttiva». Che cosa ne pensa l’Unione alla vigilia della campagna elettorale? Giovanni Russo Spena (Rifondazione comunista) boccia senza appello ogni possibile dialogo con il Carroccio: «È il ritorno alla vecchia idea della Lega come "costola della sinistra", espressa a suo tempo da Massimo D’Alema. Sono assolutamente contrario. Il partito di Bossi ha posizioni pericolose che accolgono le peggiori pulsioni della società. Basta pensare al giustizialismo. Più che a un confronto con la Lega penso alla necessità della riconquista di quella parte del suo elettorato che è rappresentata da operai e gente iscritta al sindacato».
Contrario al dialogo anche il verde Alfonso Pecoraro Scanio, pur con qualche distinguo: «Certo, c’è il "no" della Lega al liberismo selvaggio, ma il suo filone principale resta quello populista. E negli ultimi anni ha assunto connotati sempre più di destra. Proposte come quella della castrazione chimica dei maniaci sessuali o l’avversione per gli immigrati sono inaccettabili. In altre parole, ci si trova di fronte a macigni insormontabili».
Il coordinatore della Margherita, Dario Franceschini, ritiene «davvero difficile» prevedere cosa accadrà dopo un’eventuale sconfitta di Berlusconi: «È un’impresa ardua perché a mio giudizio sarà un vero e proprio terremoto politico. A giudicare dalle scelte della Lega nell’ultima legislatura reputo impossibile un rapporto politico. Ma una cosa è il partito, un’altra l’elettorato leghista». E lo stesso ragionamento, più dettagliato, lo fa il diessino Marco Minniti: «Che la Lega abbia una componente popolare mi pare fuori di dubbio. Si tratta però di una componente che è andata via via indebolendosi per quella sorta di patto faustiano stretto con Berlusconi. E forse si è compromessa del tutto. Lo vedremo fra qualche settimana: allora giudicheremo se sia possibile parlare ancora di quell’autonomia che fu la caratteristica fondante del partito-movimento di Bossi alla sua nascita».
E la Lega, che ne pensa del Bersani dialogante? Francesco Speroni era presente quando ha parlato a Malpensa Fiere e non nasconde la sua soddisfazione: «Mi sono avvicinato e gli ho fatto i complimenti: con lui è divertente dibattere. È un "anomalo" rispetto agli altri diessini astiosi e faziosi». Così anomalo da aprire un confronto con il Carroccio? «Lo trovo simpatico anche se le differenze ideologiche restano enormi. Una cosa trovo comunque esatta. Cioè, quando dice che ormai ad andare in mezzo alla gente siamo solo noi e loro. Aggiungerei forse Rifondazione comunista. Gli altri non esistono. E questo qualcosa vuol dire».
Roberto Zuccolini




L’EX DIRETTORE DELL’«UNITA’»
Furio Colombo: spero anch’io in un Carroccio «buono»
ROMA - Furio Colombo, non la stupisce che Pierluigi Bersani abbia manifestato simpatia per la Lega di Bossi? «A dire il vero, colpisce di più il fatto che la Padania abbia riservato a quell’intervista un largo spazio».
Segno di intesa?
«La maggior parte delle cose dette da Bersani ha la funzione di ripagare la gentilezza con la quale era stato trattato nel dibattito a "Malpensa Fiere" dal popolo leghista».
E i contenuti?
«Quando si viene ai temi politici ci si accorge che in realtà il dirigente diessino non molla su niente».
Fa comunque i complimenti alla Lega per la sua capacità di «stare in mezzo alla gente» facendo il parallelo con le Feste dell’Unità.
«Certo, in modo generico si può anche affermare che il mondo politico si divide in due: da una parte Ds e Lega che riescono a mobilitare la gente, dall’altra partiti come Forza Italia che organizzano eventi simili a cda di un’azienda. Però occorre distinguere. Anche i cristiani fondamentalisti vicini a Bush riescono a mobilitare la gente, ma non per questo non sono pericolosi. Lo stesso si potrebbe dire per la Lega».
Ma Bersani sembra aprire un vero e proprio credito politico nei confronti del Carroccio, quando dice che una sconfitta di Berlusconi potrebbe far riassumere alla Lega un’«autonomia politica» con la quale fare i conti.
«Dieci anni fa ci fu, da parte della sinistra, un’illusione sulla Lega. Poi è arrivata la tragica smentita. L’elenco è lungo. Basta fare l’esempio del sindaco Gentilini che a Treviso esalta i maiali che urinano sul terreno dove dovrebbe sorgere una moschea. O il discorso di Calderoli sulle donne che dovrebbero girare con le forbici da giardiniere per difendersi dagli immigrati. Si tratta di affermazioni che non verrebbero accettate in nessun’altra democrazia europea».
Quindi, discorso chiuso?
«Nelle parole di Bersani leggo una speranza, cioè quella che Berlusconi abbia fatto venir fuori il peggio della Lega. E che quindi ci si possa augurare in futuro un Carroccio diverso, senza più gli attuali dirigenti. Anche se esistono differenze tra loro».
Faccia qualche nome.
«Se stessi in una stanza con Calderoli, Castelli o Gentilini avrei non poco imbarazzo. Li considero irrecuperabili. Se invece mi trovassi con Maroni non uscirei, non mi sottrarrei al confronto».
Una Lega «buona» e una «cattiva»?
«Se abbiamo dato credito ai neofascisti quando ci hanno detto che erano diventati postfascisti, come ha fatto anche il presidente delle comunità ebraiche Luzzatto, perché non fare altrettanto con l’area leghista? Speriamo in un cambiamento, dopo l’accecamento berlusconiano. Intendo dire soprattutto del popolo, della base leghista: speriamo che torni ad essere quell’aggregazione popolare alla quale prestammo a suo tempo attenzione».
R. Zuc.

INES TABUSSO