00 04/04/2010 11:26
Segnalo un libro bellissimo e atipico, di un autore pressoché sconosciuto in Italia se non dagli specialisti di letteratura spagnola: "Del sentimento tragico della vita" di Miguel de Unamuno. L'autore (nato è un filosofo, poeta e romanzieri spagnolo, cristiano e socialista, conosciuto soprattutto per il suo romanzo "Nebbia" (1914), storia del giovane benestante Augusto Peréz, che vive come se l'esistenza fosse un sogno, alla ricerca di un amore ideale che sembrerà concretizzarsi con l'incontro della bella insegnante di pianoforte Eugenia, ma che in realtà sarà condannato al fallimento e alla disperazione per il carattere sognatore del protagonista, incapace di venire a patti con la realtà e le convenzioni sociali che perfino l'amore richiede; solo nell'ultima parte del romanzo Augusto e la sua storia sembreranno assumere un senso, quando l'autore Unamuno entrerà in veste di se stesso nel romanzo, e chiederà ad Augusto di giustificare la sua esistenza e i suoi fallimenti, così come Dio chiederà ad ogni sua creatura nel Giudizio Finale.

Perché vi ho riassunto in breve la trama di questo romanzo se il libro che recensisco è un altro? Perché "Del sentimento tragico della vita" è un tentativo di dare basi filosofiche (per quanto, come rivendica lo stesso autore con orgoglio, dilettantesco) alle riflessioni che attraversano la produzione romanzesca e poetica dello scrittore; il personaggio centrale delle riflessioni di Unamuno è il Don Chisciotte di Cervantes, interpretato come eroe "fallito", lacerato, contraddittorio di una fede trascendentale che non ha più appigli nel mondo concreto, essendo cambiato l'universo di valori in cui l'individuo è immerso, e l'eroismo consiste nel rifiutare questo mutamento, pur essendo razionalmente consapevoli che è inevitabile, ineludibile, necessario... così come Don Chisciotte fu l'ultimo testimone dei valori della cavalleria errante quando questa aveva ormai perso la sua funzione e il suo senso, così oggi il cristiano cattolico è chiamato a farsi testimone di Cristo e della sua Chiesa in un mondo individualista, meccanicizzato, razionalizzato, incapace della fede in un oltre intangibile ed inconoscibile. Il tragico è quindi per il cattolico d'oggi prima di tutto un sentimento, uno sguardo sulla vita, e solamente dopo un modo di concettualizzare il mondo e l'esistenza.

L'originalità del pensiero di Unamuno all'interno della tradizione filosofica e teologica cattolica è sulle prime disarmante, tanto che talvolta sembra di avere a che fare con un outsider, eppure proseguendo all'interno del testo si ritrovano sviluppati germi che Platone, Agostino, San Paolo, Kierkegaard, Vico e Nietzsche hanno inoculato nella nostra cultura , senza che prima qualcuno li avesse prima e così bene messi sotto la lente d'ingrandimento.
Riassumo in breve le argomentazioni più interessanti:

1) Fede e ragione/scienza: l'autore rifiuta qualsiasi conciliazione fra i due termini, criticando aspramente quanti -sulla scorta della filosofia aristotelico/tomista- hanno cercato di adattare gli articoli della fede alle dottrine razionaliste e alle scoperte scientifiche; questa proposizione sembrerebbe preludere ad uno sterile irrazionalismo, se Unamuno non aggiungesse: è necessario che il fedele si tenga aggiornato e analizzi le novità filosofiche e scientifiche, e ancor di più, le interiorizzi e le faccia combattere con la propria fede religiosa, poiché è solo attraverso la lotta e la lacerazione che la fede assume senso e valore; il rifiuto aprioristico e il rinchiudersi in certezze ormai obsolete ed improponibili non è fede, ma stupidità.

2) Tradizione e individuo: l'individuo non ha senso in sé, ma solamente contestualizzato nella tradizione storica e culturale nel quale è nato e si trova ad operare, in questo senso la Chiesa Cattolica rappresenta la continuità spirituale ed esistenziale che lega i primi cristiani a noi, in un continuum che non è però una linea retta, ma un percorso accidentato in cui ci sono stati strappi (la Riforma e la Controriforma ad esempio) e scissioni; in questo senso la tradizione non è un blocco monolitico (e confortevole) che il singolo cattolico deve assumere o rifiutare in toto, ma un armadio pieno di vesti, qualcuna mai usata, qualcuna logora, qualcuna che è possibile riadattare e qualcuna no (la metafora è di Unamuno).

3) Trascendenza o immanenza?: la separazione fra le due posizioni è di ordine intellettuale/filosofico, ma non esiste nell'esperienza concreta del credente, che grazie alla mediazione cristica sente il mondo intorno a sé pulsare di vita divina, tanto che perfino animali e piante sembrano rivelare un'anima (chiaro il riferimento a San Francesco e all'immanentismo di Spinoza e Schelling), in questa natura immersa nel divino e che non ne ha coscienza, l'uomo rappresenta l'unico ente in grado di portare all'auto-coscienza il Sé costitutivo del mondo... eppure nonostante questo, il credente sa' che Dio non si fonde totalmente col mondo, ne rimane fuori, in un non-luogo spirituale in cui riposano le coscienze dei morti, di cui Dio è il conservatore e il garante fino al giorno del Giudizio Finale.


"Il poeta è puro acciaio, duro come una selce" Novalis

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